Circolo
di lettura “Letture in giardino”
in
collaborazione con lo Studio Arti Floreali
Un
incantevole aprile
di
Elizabeth von Arnim
Reperibilità
in prestito nelle Biblioteche di Roma Capitale:
Enzo
Tortora: Documento disponibile
Europea:
Documento disponibile
Flaminia:
Documento disponibile
Franco
Basaglia: Documento disponibile
Goffredo
Mameli: Documento disponibile
Guglielmo
Marconi: Documento disponibile
Nelson
Mandela (ex Appia): Documento in prestito interbibliotecario.
Teatro
Biblioteca Quarticciolo: Documento disponibile
Vaccheria
Nardi: Documento disponibile
Villa
Mercede: Documento in prestito interbibliotecario.
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Un
incantevole aprile
(The
Enchanted April,
1922)
è il libro più famoso di
Elisabeth von Arnim.
Il
libro fu
pubblicato nel 1923, e tradotto in italiano già nel 1928 ed
ebbe una nuova
traduzione italiana del 1993 dopo l'uscita del film. Da
esso infatti sono stati tratti due
film, uno
già nel 1935 e
uno nel 1992.
Nel
2003 fu rappresentata a Broadway una riduzione teatrale, mentre nel
marzo 2010 è stata rappresentato al Chelsea Studios di New York un
musical.
Epoca
- Non
è indicata un'epoca specifica in cui il romanzo
è ambientato, ma c'è un accenno
al fascismo. Quindi, con ogni probabilità, il romanzo racconta di
una realtà contemporanea alla scrittrice. L'azione
si
svolge in una località nei
pressi di Nervi, sulla riviera di Levante: San Salvatore.
Luogo
- Il
film del
1992 è
stato girato nel Castello Brown di Portofino, detto
Castello di San Giorgio.
Giusta
scelta. Infatti la
scrittrice,
nel 1920, aveva
trascorso
un periodo di vacanze
nella
riviera ligure,
prendendo
in affitto, assieme ad alcuni amici, proprio
il
castello Brown; all'epoca il castello apparteneva a un inglese, John
Baber . E'
molto
probabile, quindi,
che il luogo in cui è ambientato il romanzo sia, appunto, questo
edificio.
Perché
la scelta di questo libro
- Le
prime notizie sul
Castello di San Giorgio
sono
dei
primi del Quattrocento e la
sua storia è
assai
complessa. La
sua posizione strategica ne faceva una opera destinata naturalmente
alla difesa
del borgo marinaro e dello specchio d'acqua
antistante.
Nella
metà del Cinquecento il castello fu ampliato e
munito di munizioni e armi. Via
via nei secoli il castello, divenuto ormai fortezza, venne
ulteriormente ampliato e rafforzato. Nel 1797, quando Napoleone
Bonaparte conquistò la Liguria, la
fortezza passò sotto il dominio francese. Ma
nel
1867, dopo il congresso di Vienna, con il passaggio di Portofino
prima al regno di Sardegna e poi a quello del nuovo Regno d’Italia,
il castello perse la sua importanza strategica e militare. Venne
quindi dismesso e disarmato definitivamente.
Ma
nello
stesso anno, il
1867,
l'edificio
fu
acquistato
dal console del Regno Unito a Genova sir Montague Yeats Brown. Sir
Brown,
dopo averlo ammirato dal mare durante le uscite sul suo vascello
Black Tulip, ne era
rimasto
affascinato e lo acquistò per la cifra di settemila lire. Nuovi
lavori modificarono l'originale struttura secondo i canoni
architettonici e il corredo interno di quell'epoca; tra le modifiche
più significative, oltreché l'innalzamento delle torri, la
trasformazione dell'antica piazza d'armi in un giardino pensile.
L'ultimo
proprietario inglese dell'ex fortezza militare fu John Baber.
Dal
1961 il castello è di proprietà del Comune di Portofino che lo
utilizza come sede di esposizioni culturali.
Per
una notevole
coincidenza proprio
nello stesso anno, il
1867,
in
cui sir Brown acquistava il Castello di San Giorgio, il
viaggiatore inglese sir Thomas Hanbury iniziò a realizzare i
giardini che portano il suo nome. Egli, dopo aver fatto fortuna come
esportatore di tè a Shangai, decise di stabilirsi sulla costa ligure
di ponente, ed acquistò dapprima il palazzo dei marchesi Orengo di
Ventimiglia e successivamente i terreni circostanti, su cui volle
realizzare uno splendido giardino con specie botaniche raccolte in
ogni parte del mondo.
Le
affinità tra l'edificio e il giardino del Castello di San Giorgio e
l'edificio e il giardino di Palazzo Orengo Hambury sono moltissime:
le logge e terrazze, il terreno digradante dalla collina al mare,
come è tipico della costa ligure, l'aspetto paesaggistico
tipicamente "all'inglese", con vialetti irregolari e
romantici rustici pergolati e patii, la pittoresca vista del mare
sullo sfondo.
Cosa
racconta il romanzo
- Questo romanzo
incoraggia a cambiare le carte in tavola quando l’infelicità
e l’insoddisfazione
si fanno troppo pesanti. E'
un libro in cui la natura in tutto il suo splendore, anche se
'addomesticata', è la cornice ideale nella quale i rapporti fra gli
individui non possono che rasserenarsi. Oltre
all'amore per l'Italia, nel libro sono rintracciabili spesso elementi
autobiografici
e protofemministi.
Scrive
Elisabetta
Rasy su
Il
Sole 24 ORE
del 17 aprile 2011: “Elizabeth von Arnim è uno di quei fortunati
autori che, più che dei lettori, possono vantare degli adepti: un
vasto pubblico di affezionati che non sono interessati tanto alle
trame e ai personaggi quanto al tono che li caratterizza, una calda
tonalità colorata rintracciabile di storia in storia. Non c'è
aspetto dell'esistenza che il particolare colore rosa di von Arnim
non sappia trattare a suo modo. Amore, sesso, conflitti, questioni di
denaro popolano i suoi romanzi in un intreccio perverso di alta e
bassa società mescolate in un cocktail perfetto da quello speciale
ingrediente che è l'ironia dell'autrice, un'ironia dai molti
versanti: caustica ma anche tollerante verso i personaggi e verso i
lettori.”
I
parchi di Genova Nervi, 'vicino a San Salvatore'
- Essi
comprendono la grande distesa di verde costituita dalle Ville
Gropallo, Serra e Grimaldi che si estende tra la passeggiata a mare
Anita Garibaldi e l'antica strada romana. Si tratta di un complesso
storico-ambientale di ispirazione romantica dal valore inestimabile
che ospita piante esotiche e tropicali oltre alla tipica flora
mediterranea. Immersa
nel verde del parco di Nervi è
la bella, settecentesca villa Grimaldi Fassio, acquistata dal Comune
di Genova nel 1979. Dal
1993 fa
parte del sistema dei Musei di Genova-Nervi ed ospita le
importanti collezioni di arte otto-novecentesca dei fratelli Frugone,
con
dipinti, sculture e disegni di artisti italiani e stranieri attivi
tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo Novecento. Tra
gli artisti rappresentati Bistolfi, Fontanesi, Mancini, Messina,
Segantini, Signorini, Boldini, Rubino, Milesi, Tito, Michetti e
Sorolla y Bastida.
Tra
il Parco e il mare si snoda l'affascinante Passeggiata Anita
Garibaldi.
La passeggiata nasce da un antico sentiero che, negli
anni '20 dell'Ottocento,
serviva ai pescatori e ai contadini per raggiungere i luoghi di pesca
o i terreni agricoli allora confinanti con il mare. Dato il
suggestivo paesaggio - la rocciosa e frastagliata costa e il
panorama sul promontorio di Portofino - nel 1862 il marchese Gaetano
Gropallo fece avviare i lavori di costruzione di una vera e propria
passeggiata
a mare. Fino
al 20 aprile 1944 la passeggiata era intitolata alla "Principessa
di Piemonte", ma durante la Repubblica di Salò il commissario
prefettizio deliberò un cambio di nome in "passeggiata Xª
Flottiglia MAS". La passeggiata, di proprietà del comune di
Genova che la intitolò il 19 giugno 1945 ad Anita Garibaldi, è oggi
meta scelta dai cittadini genovesi e attrazione per i suoi turisti.
Pensando
al viaggio a maggio per la visita ai Giardini Hambury, organizzato
dallo Studio Arti Floreali, potrebbe essere interessante una tappa a
Genova-Nervi, per visitare la Villa Grimaldi Fassio e la collezione
Frugone.
Elizabeth
von Arnim, pseudonimo di Mary Annette Beauchamp (Kiribilli Point,
31 agosto 1866 – Charleston, 9 febbraio 1941), è stata una
romanziera britannica nata in Australia. Elizabeth nacque in una
famiglia della borghesia coloniale inglese di Sydney. Il padre era un
commerciante. La scrittrice Katherine Mansfield, pseudonimo di
Kathleen Beauchamp, neozeladese, nata nel 1888 e considerata una
delle migliori scrittrici di racconti del suo periodo, era una sua
cugina prima.
Nel
1891, a 25 anni, Elizabeth sposò il conte tedesco Henning August von
Arnim-Schlagenthin, figlio adottivo di Cosima Wagner, conosciuto
durante un viaggio in Italia. Cosima Wagner,
cioè la suocera di
Elizabeth, (nata a Como nel 1837 e morta a Bayreuth nel
1930), era la figlia illegittima del pianista e compositore ungherese
Franz Liszt e fu la seconda moglie del compositore tedesco Richard
Wagner.
Il
matrimonio Beauchamp-von Arnim avvenne a Londra; i coniugi vissero
dapprima a Berlino e poi nella residenza della famiglia Arnim in
Pomerania (oggi Polonia). Dalla nozze nacquero cinque figli: quattro
bambine e un maschio. Fra i precettori dei bambini vi furono Edward
Morgan Forster, noto come E.M. Forster (scrittore britannico,
nato nel 1879 ed autore, tra l'altro, di Camera con vista del
1908, Casa Howard del 1910, Passaggio in
India del 1924) e Hugh Walpole (scrittore britannico considerato
tra i più prolifici della Letteratura britannica nel XX secolo).
Il
matrimonio non fu felice sia per incompatibilità di carattere sia
per difficoltà finanziarie conseguenti all'incarceramento del marito
per truffa.
La
carriera di scrittrice iniziò nel 1899, a
33 anni, con
un'opera semi-autobiografica, anonima, in cui
l'io scrivente si chiamava "Elizabeth", Elizabeth
and her German
garden (Il
giardino di Elizabeth).
Il romanzo ebbe immediatamente successo e fu ristampato più volte.
L'autrice pubblicò a breve distanza due altri romanzi
semi-autobiografici: The
Solitary Summer (1899)
(Un'estate
da sola)
e The Benefactress
(1902) (Il
circolo delle ingrate)
e successivamente altri
diciotto volumi firmati «by the author of "Elizabeth and her
German garden"»; in seguito firmerà le sue opere più
semplicemente come "Elizabeth", senza cognome.
Nel
1908 lasciò la casa in Pomerania per tornare a Londra. Rimasta
vedova a 44 anni, dal 1910 al 1913 fu amante di H. G. Wells. Herbert
George Wells, meglio conosciuto come H. G. Wells,
suo coetaneo, è
stato uno scrittore britannico tra i più popolari della sua epoca,
assai versato in molti generi letterari; autore di alcune delle opere
fondamentali di fantascienza, è oggi ricordato come uno degli
iniziatori di quel genere narrativo. Il suo romanzo più noto è The
War of the Worlds, 1897 (La
guerra dei mondi). Il romanzo venne adattato da Orson
Welles in un celebre programma radiofonico nel 1938. La storia,
narrata in forma di cronaca, venne interpretata in modo così
realistico che parecchi, negli Stati Uniti, credettero realmente che
stesse avvenendo un'invasione di extraterrestri, rimanendone molto
impressionata.
Nel
1916, a 50 anni, Elizabeth sposò in seconde nozze il duca John
Francis Stanley Russell, fratello maggiore di Bertrand Russell,
l'importante filosofo, logico, matematico. Nello stesso anno morì in
Germania, dove si era recata per perfezionarsi nello studio della
musica, la giovane figlia Felicitas; la vicenda, somigliante a quella
della protagonista del romanzo epistolare Christine, spinse
Elizabeth a trasferirsi negli Stati Uniti. Anche il matrimonio con
Russell fu poco fortunato: i due coniugi si separarono dopo tre anni,
nel 1919, ma non divorziarono mai.
Elizabeth
von Arnim trascorse gli ultimi anni della sua vita in Svizzera e
Costa Azzurra; pubblicò nel 1936 la sua autobiografia dal titolo All
the dogs of my life (I cani della mia vita) e, allo
scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939, si trasferì
definitivamente negli Stati Uniti.
Elizabeth
von Arnim ha scritto molto. I suoi testi sono ripubblicati con
continuità e tradotti in lingua italiana anche in tempi recenti.
- Elizabeth and Her German Garden, 1898 (Il giardino di Elizabeth, Bollati Boringhieri, 1993)
- The Solitary Summer, 1899 (Un'estate da sola, Bollati Boringhieri, 2001)
- The Benefactress, 1901 (Il circolo delle ingrate, Bollati Boringhieri, 2012 )
- The Adventures of Elizabeth in Rugen, 1904 (Elizabeth a Rugen, Bollati Boringhieri, 1996)
- Princess Priscilla's Fortnight, 1905 (Una principessa in fuga)
- Fräulein Schmidt and Mr Anstruther, 1907 (Lettere di una donna indipendente, Bollati Boringhieri, 2005)
- The Caravaners, 1909 (La memorabile vacanza del barone Otto, Bollati Boringhieri, 1995)
- The Pastor's Wife, 1914 (La moglie del pastore, Bollati Boringhieri, 2003)
- Christine, 1917 (La storia di Christine, Bollati Boringhieri, 2009), scritto con lo pseudonimo di Alice Cholmondeley
- Christopher and Columbus, 1919 (Cristoforo e Colombo, Bollati Boringhieri, 2004)
- Vera, 1921 (Vera, Bollati Boringhieri, 2006)
- The Enchanted April, 1922 (Incanto di aprile, Felice Le Monnier, 1928. Un incantevole aprile, Bollati Boringhieri, 1993)
- Love, 1925 (Amore, Bollati Boringhieri, 1999)
- Introduction to Sally, 1926 (Vi presento Sally, Bollati Boringhieri, 2008)
- Expiation, 1929 (Colpa d'amore, Bollati Boringhieri, 2010)
- Father, 1931 (Il padre, Bollati Boringhieri, 2007)
- The Jasmine Farm, 1934 (La fattoria dei gelsomini, Bollati Boringhieri, 2011)
- All the Dogs of My Life, 1936 (I cani della mia vita, autobiografia, Bollati Boringhieri, 1991)
- Mr. Skeffington, 1940 (Mr Skeffington, Bollati Boringhieri, 2002)
- Da The Enchanted April sono stati tratti due film:
- The Enchanted April (1935) diretto da Harry Beaumont, protagonisti: Ann Harding, Katharine Alexander e Frank Morgan
- Un incantevole aprile (1992) diretto da Mike Newell, protagonisti: Josie Lawrence, Miranda Richardson, Polly Walker e Joan Plowright
- La signora Skeffington (1944) diretto da Vincent Sherman, protagonisti: Bette Davis, Claude Rains e George Coulouris
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ELIZABETH LA PRIMA DONNA. VITA E BESTSELLER DELLA VON ARNIM, SIGNORA AUDACE DEL '900
NATALIA ASPESI, La Repubblica 31 gennaio 2012
Elizabeth
von Arnim scrisse 21 romanzi, ebbe due mariti, un conte tedesco
oppressivo e un conte inglese vendicativo, cinque figli che non le
diedero grandi soddisfazioni, un certo numero di amanti e di
amatissimi cani; cugina e amica della più giovane Katherine
Mansfield, visse in Germania, Inghilterra, Francia, Italia, Svizzera.
Era nata a Kirribilli Point in Australia nel 1866, morì a Charleston
negli Stati Uniti nel febbraio del 1941. Era piccola, carina,
elegante, spiritosa, colta, piaceva molto agli uomini: a loro piaceva
anche il denaro che lei cominciò a guadagnare con il suo primo
libro, Elizabeth and her German garden, assoluto bestseller del 1898,
che superò gli autori allora alla moda, come Maria Corelli e H.G.
Wells. Continuò a vendere per anni, e quindi ad assicurare alla sua
autrice un mucchio di sterline, di cui però, in tempi di assoluta
irrilevanza sociale e giuridica delle donne, lei non poteva disporre.
Essendo sposata, tutto quel denaro guadagnato da lei apparteneva per
legge al marito, il primo: un marito particolarmente severo e
litigioso, il conte prussiano Henning August von Arnim-Shlagenthin,
che oltretutto di quei soldi aveva bisogno, perché il conte padre,
che si era messo in testa di prendere il posto del cancelliere
Bismarck, era stato spogliato dei possedimenti di famiglia. Fu sempre
il suo denaro a rendere difficili i suoi rapporti con gli uomini:
sposando in seconde nozze il conte Francis Russell, fratello maggiore
del filosofo pacifista Bertrand ( Perché non sono cristiano ),
ottenne la separazione dei beni, su cui forse lui aveva contato per
sistemare le sue proprietà, e non la perdonò mai. Scrivere allora
era l'unica forma di creatività femminile appena tollerata, e le
scrittrici venivano spesso considerate creature sospette, poco
raccomandabili, anche ridicole, almeno secondo la stampa satirica.
Molte autrici sceglievano di tutelarsi, nascondendosi dietro un nome
maschile, ma per Mary Annette Beauchamp, chiamata in famiglia May,
sposata von Arnim, anche questo sotterfugio non bastava. Dopo
furibondi litigi domestici, quella che poi avrebbe scelto di firmare
i suoi ventun libri come Elizabeth von Arnim, ottenne dal marito il
permesso di pubblicare la sua prima opera, a patto che risultasse di
anonimo autore, in modo da rendere impossibile identificarla per non
macchiare il glorioso stemma di famiglia. Con il titolo Il giardino
di Elizabeth, il libro è stato pubblicato in Italia per la prima
volta nel 1989, da Bollati Boringhieri, mandando in estasi una folla
di raffinati lettori, che hanno poi scoperto a poco a poco gli altri
romanzi di questa scrittrice ironica, spregiudicata, fuori da ogni
corrente letteraria, spesso crudelissima nel descrivere una società
boriosa, superficiale, vecchia, ingiusta, soprattutto verso le donne.
Esce in questi giorni sempre da Bollati Boringhieri, Il circolo delle
ingrate ( The benefactress ), suo quarto libro (il diciannovesimo per
l' editore italiano) uno dei più autobiografici. Quando nel 1901 fu
pubblicato in Inghilterra e Stati Uniti, la signora aveva 35 anni, 4
figlie tutte femmine, educate in casa da insegnanti come E.M. Forster
e Hugh Walpole, e il suo più arduo impegno era riuscire a tenere
lontano dal suo letto il non più sopportabile consorte, che
pretendeva a tutti i costi quell'erede maschio che, May-Elizabeth era
certa, non sarebbe mai arrivato. Detestando Berlino, era riuscita a
stabilirsi con la famiglia in Pomerania, nel castello finalmente
restituito agli Arnim, e che con i soldi da lei guadagnati e
confiscati dal conte, era stato restaurato e circondato dal bel
giardino tanto curato e amato dalla contessa, che poi ne aveva fatto
il protagonista del suo primo libro. Anna, la benefattrice, è una
bella e intelligente ragazza inglese senza soldi e, a 25 anni, è
ormai destinata allo zitellaggio per la sua smania di rifiutare i
pretendenti: da uno zio eredita una proprietà in Pomerania, dove va
a vivere per realizzare un sogno: ospitare dodici signore maltrattate
dalla vita e regalare loro, a sue spese, la felicità. Impresa
ovviamente impossibile, perché le signore raccolte con un
inserzione, si rivelano ingrate, invidiose, classiste, avide,
bugiarde e persino con parentele disdicevoli (una sorella ballerina!,
un figlio a caccia di moglie ricca! una nobiltà inventata!). Gli
abitanti del villaggio sono ignoranti e diffidenti, ed è
interessante come in un romanzo di inizio Novecento, quindi vecchio
di 110 anni, scritto da una donna e perciò giudicato allora
superficiale, si accenni a quell'antisemitismo già diffuso nella
Germania imperiale anni prima dell' avvento del nazismo. È il buon
pastore luterano a mettere in guardia la stupefatta e indignata Anna:
«Qui in mezzo a noi, dappertutto, a prendere i soldi dalle nostre
tasche, anzi il pane dalle nostre bocche, ci sono gli ebrei». E il
sangue dalle vene cristiane, e gli omicidi rituali, sibila quello che
sarebbe «il più mite degli uomini» e che, «anche solo a nominare
la parola ebreo, veniva colto da una furia cieca». E gli altri
maschi del paese, contadini, servitori? Sprezzanti delle donne,
certi, in quanto uomini, di essere superiori anche alla bella signora
ricca e colta, generosa e appassionata, ma svalutata in quanto donna.
Esperienza autobiografica, come l'arresto del nobile vicino
innamorato di lei e da lei fino ad allora respinto. Visitandolo in
prigione, «Anna, quasi accecata dalla lacrime, gli cinse il collo
con le braccia; con quell' unico gesto gli consegnò se stessa e il
suo futuro completamente, ammainò per sempre la bandiera dell'
indipendenza». Nella realtà, Henning era finito in prigione
accusato di appropriazione indebita, e quella tragedia fece scoprire
a Elizabeth come a quell'uomo più vecchio di lei, possessivo,
gelido, litigioso, sempre sull'orlo della rovina finanziaria,
impegnato ad allevare maiali e a coltivare patate con scarso
successo, anche adultero, fosse profondamente legata. Il 27 ottobre
1902 nasceva finalmente l'erede maschio, Henning Bernd von Arnim, e
come esentata da una colpa, la bella contessa, pacificata con il
marito, con se stessa, con la vita, liberata dagli obblighi del suo
rango e del suo genere, da quel momento può dedicarsi alla
scrittura, ai giardini e ai cani, ai figli che l'adorano, ai viaggi e
alla season di Londra, dove frequenta femministe e intellettuali che
spesso sono più che semplici amici. Infatti, può essere che il
piccolo Henning non sia un von Arnim ma un Russell, figlio del conte
Francis, che, diventata vedova, anni dopo, innamoratissima, sposerà,
rovinandosi gli anni della maturità. Nel periodo che precede la
prima guerra mondiale, il bel mondo londinese pare travolto dagli
scandali amorosi, da adulteri multipli, da drammatici divorzi, che
coinvolgono anche la contessa-scrittrice. E per esempio la bella e
libera signora diventa l'amante dello scrittore di fantascienza H.G.
Wells ( La guerra dei mondi ), che già tradisce la moglie con
un'amante ufficiale, per essere poi tradita con la tanto più giovane
e appassionata saggista politica e femminista Rebecca West ( Il
significato del tradimento ). Separata dal terribile conte Russell,
Elizabeth, amica inseparabile del di lui fratello Bertrand, ogni
tanto finisce nel suo letto malgrado l'alternarsi di quattro mogli,
fino a quando, cinquantenne, di lei si innamora Alexander Stuart
Frere Reeves, editore della rivista Granta, che ha 26 anni di meno, e
le resterà legato per anni, sposando poi la giovane figlia del
giallista Edgar Wallace. Quando compie settant'anni, Elizabeth scrive
nel suo diario: «Adesso sono davvero una donna anziana, e non devo
dimenticarlo. Ci si abitua talmente ad essere giovani che si finisce
per credere che sarà per sempre. Mi devo ricordare che non è così
e mi aiuteranno gli specchi».
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«I CLASSICI DELLA LETTERATURA. GRANDI AUTRICI» a cura del Corriere della Sera
Dal 4 luglio 2013
PRESENTAZIONE
DELL’OPERA
Le
grandi madri della scrittura, di Dacia Maraini
Le
donne leggono. Hanno sempre letto molto. Ci sono grandi e piccoli
quadri che le ritraggono mentre tengono in mano un libro sdraiate su
un divano o sedute su sedie imbottite, o distese su un prato, immerse
nella lettura. Il pittore sembra osservare con occhi un poco
invidiosi la capacità di concentrazione della sua modella che,
quando legge, dimentica ogni cosa.
Eppure
in quel leggere silenzioso e segreto c’è un’intenzione nascosta
che ha spaventato gli educatori e i controllori dei costumi di tutti
i tempi. Da ricordare che Flaubert fu denunciato per avere scritto un
libro pericoloso basato sull’adulterio (sto parlando di Madame
Bovary) che, dovendo finire nelle mani delle «signorine da marito»,
avrebbe provocato danni «irreparabili». Evidentemente le signorine
da marito dell’Ottocento erano avide di libri e quando affondavano
il naso in un romanzo non mostravano molta voglia di uscirne.
Qualcuno
potrebbe dire che era un modo di viaggiare nel tempo e nello spazio,
per una immaginazione femminile spesso costretta in stanze piccole e
anguste, impedita ai viaggi e a qualsiasi avventura che non fosse
casalinga. Forse era questo. Ma voglio pensare che ci sia
qualcos’altro che spinge le donne – ancora oggi in maggioranza
lettrici di romanzi – a innamorarsi così palesemente delle
narrazioni su carta. Prima di tutto il mistero del passaggio del
tempo. Perché corre tanto? Dove va? Da dove viene? Cosa provoca e
cosa significa? Cosa conserva e cosa perde? Pensieri di chi è
abituato storicamente a fare i conti con il proprio corpo che si
trasforma, osservato con sorpresa, inquietudine e a volte sincera
paura. Pensieri di chi cerca, come gli antichi prigionieri, di uscire
da quella segreta, se non contando sulle proprie gambe, per lo meno
sulla propria immaginazione e sui propri sensi profondi. Per chi sta
ferma dietro una finestra (vi ricordate Emily Dickinson che non uscì
mai dalla sua casa e non ebbe mai modo di pubblicare una sua poesia
mentre era ancora in vita? E di Isabella Morra che, relegata nel
castello di Valsinni, passava le giornate sulla torre a scrutare
l’orizzonte per vedere se arrivasse qualcuno – il padre che
glielo aveva promesso – a liberarla da quella prigionia?) il
passare del tempo si presenta come un arcano incomprensibile.
Il
mistero della metamorfosi e del passaggio del tempo tenevano gli
occhi delle lettrici aggrappati ai libri. Sprofondate nelle storie
altrui, vivevano vicariamente destini lontani, vicende straniere. E i
fantasmi di quelle storie colorivano di sé le piccole azioni
quotidiane ripetute mille volte, i doveri che fissavano la giornata
delle donne alla cucina, alla stanza da letto, al tinello. Un senso
di eternità
che
si accompagnava alla reiterata quotidianità, che per la lettrice
appassionata era segregazione e fonte di ispirazione, luogo di
tortura e, appunto, finestra da cui osservava il mondo.
Una
donna che legge non fa paura. Ha gli occhi su una pagina scritta e
sembra che dorma. Lo scintillio delle sue pupille – Ortega y Gasset
scrive che si esce da un libro con le pupille dilatate – non è
visibile. Eppure c’è. E può inquietare chi diffida e vede nel
silenzio femminile un segno di pericolo. Qualcosa che cova e potrebbe
provocare esplosioni impreviste. Non a caso i libri erano proibiti
perfino dai medici per le giovinette che si preparavano a diventare
madri.
«Le
donne non dovrebbero essere illuminate o educate in nessun modo.
Dovrebbero, in realtà, essere segregate poiché sono loro la causa
di orrende ed involontarie eccitazioni di uomini santi» scrive
sant’Agostino, il coraggioso ed esposto sant’Agostino, che pure
ha creduto nelle parole scritte, ha raccontato di sé in modo sincero
e palese. Chissà se ha pensato che anche le sue parole potevano
provocare qualche pensiero non pudico nel cervello di una lettrice.
Ma è probabile che ritenesse le donne escluse dalla lettura delle
sue Confessioni. Era una roba da uomini e basta. Eppure Agostino
aveva una madre colta e una sorella che scriveva. Ma le parole di
Cristo, che con la loro forza democratica avevano infiammato prima di
tutto le donne e gli schiavi, si sono nel tempo pietrificate in
quella sincera e prepotente preoccupazione di controllo che anima
tutti i Padri della Chiesa.
Non
fu da meno san Tommaso, il severo e prestigioso censore che tanto si
preoccupava perché tutti osservassero la gerarchia fra i sessi: «La
donna trascina in basso l’anima dell’uomo che tende a una sublime
altezza, portando il suo corpo in una schiavitù più amara di
qualsiasi altra» scrive nella Summa Teologica, e c’è da
inquietarsi pensando a quanta parte ha avuto nella educazione delle
ragazze il suo pensiero paterno.
Ma
se proprio vogliono leggere – diranno qualche secolo dopo alcuni
padri di famiglia, preoccupati dall’inazione delle loro «bambine»
intente a sbirciare di nascosto fra le finestre socchiuse, su una
strada da cui arrivano riprovevoli richiami d’amore –, che
leggano pure! Questo pensavano i commercianti e i borghesi liberali:
che le nostre mogli e le nostre figlie, se stando chiuse a casa non
trovano di meglio da fare, caccino il naso nei libri! Ma decidiamo
noi quello che va posto nelle loro mani fragili e delicate. Pagine
che non possano corromperle, che non possano comunicare loro pensieri
di autonomia e sogni di libertà. Dante coglie con grande acutezza il
pericolo del «libro galeotto» che unisce due bocche, due braccia,
due pensieri. Per questo le biblioteche, quando c’erano, avevano
reparti separati: i libri per le giovinette ben esposti ad altezza di
occhi e i libri proibiti messi così in alto che era impossibile
raggiungerli senza una scala.
Anch’io,
per tanti anni, mi sono nutrita dei grandi romanzi dei padri. Un
giorno però mi sono chiesta: ma dove sono le madri? I padri li ho
qui intorno a me, mi hanno tenuto compagnia, mi hanno affascinata e
innamorata, mi hanno incantata e deliziata. A quindici anni avevo
letto tutto Conrad – il mio preferito di sempre –, tutto Henry
James, tutto Proust, tutto Dostoevskij, tutto Verga, tutto
Pirandello, tutto Faulkner, tutto Beckett – a cui per anni ho
voluto assomigliare con tutta me stessa. Ero una ragazzina portata
alla lettura e alla meditazione. Ho rinunciato a infiniti balli,
feste, gite per leggere. A volte cercavo di mediare i due piaceri. Mi
portavo il libro in barca e leggevo sotto il sole senza accorgermi
del bruciore dei raggi. Mi ritrovavo tardi nel pomeriggio con le
piaghe sulle spalle, un gran mal di testa e la nausea che pulsava in
gola. Ma non per questo ho rinunciato. Ho perfino provato a portare
un libro nella giacca a vento quando andavo a sciare. Leggevo durante
le attese allo skilift. O mentre gli altri si sorbivano una
cioccolata calda chiacchierando del più e del meno, mi sedevo in
disparte su un gradino di legno e tiravo fuori dalla tasca il
libricino di turno. Portavo con me libri di tutte le dimensioni: da
saccoccia, da zaino, da borsa, da tasca, perfino da taschino. Quando
si ama appassionatamente la lettura, il tempo lo si trova, a costo di
mangiarsi le ore di sonno, di lesinarle al gioco, all’amore, al
cinema.
Ma
ecco, a un certo punto mi sono domandata se fosse normale che fra
tutti questi amati padri non ci fosse una madre. Le biblioteche non
le proponevano, le grandi panoramiche critiche non le offrivano alla
nostra riflessione. Quei pochi nomi femminili che rimbalzavano
qualche volta nei discorsi più dotti erano fatti con una certa
condiscendenza, come di fenomeni innaturali, un che di strano e di
imprevisto da riporre fra le cose abbandonate nei ripostigli
polverosi della memoria collettiva.
Ci
ho messo anni per scoprire che le madri c’erano eccome. Ed erano
non meno brave, coraggiose, profonde, originali dei padri. Ma i loro
nomi scivolavano nelle pieghe della storia letteraria come qualcosa
di riprovevole e un poco stonato. Ho scoperto gli scritti delle
mistiche: Il libro delle esperienze di Angela da Foligno, I
dolori mentali di Cristo di Camilla Battista Varano, I
dialoghi di Domenica del Paradiso. Scrittrici spesso scandalose
nei loro sensuali racconti del corpo di Cristo da baciare e
carezzare. Ho scoperto gli scritti delle cortigiane: Veronica Franco,
Tullia d’Aragona, Gaspara Stampa, coraggiose e battagliere
difenditrici della propria libertà. Ho scoperto i libri rabbiosi
delle monache ribelli: L’inferno monacale di Arcangela
Tarabotti, I misteri del chiostro napoletano di Enrichetta
Caracciolo. Per non parlare delle straniere: La storia del
principe Genji di Musaraki Shikibu, autrice dell’anno Mille,
uno dei piu bei romanzi orientali mai scritti, Le opere di
Ildegarda di Bingen, i testi teatrali di Roswitha di Gandersheim.
L’autobiografia di suor Juana
Inés
de la Cruz. E, ancora, che dire delle grandi scrittrici francesi come
Madame de Lafayette o Madame de Staël? O delle romanziere
dell’Ottocento come Jane Austen, le sorelle Brönte, come George
Eliot, come Mary Shelley, l’inventrice dell’horror? O, infine, di
Katherine Mansfield, la grande novellatrice?
Questa
collana ci dà l’occasione di far conoscere, a chi non li ha mai
letti, i testi più popolari e felici delle grandi scrittrici del
passato, e di invitare chi li conosceva già a rileggerli per
scoprirne la modernità e la profondità.
È
stato difficile limitare la scelta. All’inizio, infatti, il mio
elenco era molto lungo. Ma per ragioni editoriali ho dovuto tagliare
e tagliare, fino ad arrivare al numero di ventidue. Spero in futuro
di potere allungare la lista e proporre ai lettori, ma soprattutto
alle lettrici che ancora oggi sono in maggioranza, queste madri
letterarie che rappresentano un grande esempio da seguire per chi
voglia scrivere, e un grande piacere per chi voglia godersi un libro
ben pensato e ben raccontato.
«Un
incantevole aprile»
di Elisabeth von Arnim
è il dodicesimo volume della collana «I classici della letteratura.
Grandi autrici» del
Corriere della Sera:
22 romanzi – che
poi sono diventati 25 - scritti
da grandi donne del ’700, ’800, ’900, selezionati da
Dacia Maraini:
- Ragione e sentimento, Jane Austen
- Cime tempestose, di Emily Brontë
- Gita al faro, di Virginia Woolf
- Canne al vento, di Grazia Deledda
- Jane Eyre, di Charlotte Brontë
- L'età dell'innocenza, di Edith Wharton
- La mia Africa, di Karen Blixen
- Chéri, di Colette
- Il ventre di Napoli, di Matilde Serao
- La bella storia di Silas Marner, di George Eliot
- Alexis o il trattato della lotta vana - Il colpo di grazia , di Marguerite Yourcenar
- Un incantevole aprile, di Elisabeth von Armin
- La principessa di Clèves, di Madame de La Fayette
- La piccola Fadette, di George Sand
- La casa nel vicolo, di Maria Messina
- La foresta della notte, di Djuna Barnes
- La piccola istitutrice e altri racconti, di Katherine Mansfield
- L'imperatore di Portugallia, di Selma Lagerlöf
- Una donna, di Sibilla Aleramo
- Cortile a Cleopatra, di Fausta Cialente
- Vicino al cuore selvaggio, di Clarice Lispector
- La gita delle ragazze morte - La rivolta dei pescatori di Santa Barbara, di Anna Seghers
- Le solitarie, di Ada Negri
- Artemisia, di Anna Banti
- La signora Dalloway, di Virginia Woolf
Claudia
Pantanetti, 2014
Informazioni
tratte da Wikipedia e dai molti siti che parlano del libro della von
Arnim, dal sito de La Repubblica e del Corriere della Sera