Circolo di lettura “Letture in giardino”
in collaborazione con lo Studio Arti Floreali
L'illusione
di
Federico De Roberto
Il
libro è reperibile, in varie edizioni e a volte insieme ad altre
opere di De Roberto, presso le seguenti Biblioteche di Roma Capitale:
Borghesiana,
Casa del Parco, Colli Portuensi, Galline Bianche, Goffredo Mameli,
Guglielmo Marconi, Pier Paolo Pasolini, Gianni Rodari, Rugantino,
Vaccheria Nardi e
Valle
Aurelia
È
anche gratuitamente scaricabile (in quanto ormai fuori da copyright)
al seguente indirizzo:
http://www.liberliber.it/mediateca/libri/d/de_roberto/l_illusione/pdf/de_roberto_l_illusione.pdf
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L'illusione
Il
romanzo è stato pubblicato nel 1891.
È
il
secondo volume di una trilogia che racconta le vicende della grande
famiglia aristocratica catanese degli Uzeda di Francalanza. Della
trilogia
fanno
parte I
viceré
(1894)
e
L'Imperio
(postumo,
1929).
Il
romanzo fu definito dallo stesso autore Federico De Roberto
un
“lungo
monologo di 450 pagine!” Personaggio
principale del libro è la
ricca nobildonna Teresa Uzeda (
Donna
Teresa Risà in Uzeda, principessa di Francalanza e di Mirabella;
figlia di un barone di Riscemi; sposa del
principe Consalvo VII Uzeda
di Francalanza, più giovane di lei di dieci anni, con cui dà alla
luce sette figli ),
di
cui De Roberto narra la vita dall'infanzia
alla maturità. A
fare da sfondo
una Sicilia aristocratica e patriarcale. Caratteristica
principale della donna, fin dalla fanciullezza, è sempre l'amore
più per
l'apparire
che per
la realtà della vita. Teresa è superficiale e capricciosa e
la sua
cultura è fondata sulle favole della vecchia nutrice, sul melodramma
e sulla cattiva letteratura. Nei
fatti è una donna che cerca la sua identificazione nei rapporti con
gli altri e nell'illusione dell'amore, ma
si rivela
impotente a
contrastare la
decisione dei parenti e del nonno in particolare che ha scelto per
lei l’uomo che dovrebbe essere suo sposo.
Di Teresa citiamo qualche definizione data all'inizio de I Viceré, che si apre proprio con la morte dei lei, ormai anziana, incapace di leggere e scrivere se non nel «libro delle devozioni e in quello dei conti»:
Di Teresa citiamo qualche definizione data all'inizio de I Viceré, che si apre proprio con la morte dei lei, ormai anziana, incapace di leggere e scrivere se non nel «libro delle devozioni e in quello dei conti»:
“Gran
donna, la principessa! Basta dire che rifece la casa già fallita!”
“Costrinse
don Lodovico, il secondogenito, a farsi monaco mentre gli toccava il
titolo di duca; la primogenita fu chiusa alla badia! … Se campava
ancora ci avrebbe messo anche l’altra! … Maritò Chiara perché
questa non voleva maritarsi! ... Tutto per amor d’uno solo, del
contino Raimondo ….”
“Per
lei, come per tutti i capi delle grandi famiglie, i figliuoli
desiderabili ed amabili non potevano essere se non maschi: le femmine
non sapevano far altro che mangiare a ufo e portar via parte della
roba di casa, se andavano a marito. Questa idea sadica molto ben
radicata nel suo cervello, ammetteva veramente qualche eccezione -
ella stessa, per esempio - ma verso la prole era la sola che la
guidava.”
Ne
I Viceré,
Teresa risulta nata nel 1795 e muore nel 1855. Entra sposa nella
famiglia Uzeda già 'molto in età', intorno ai trent'anni!
Il
romanzo non ha avuto una grande fortuna tra i contemporanei e solo
negli ultimi anni si assiste ad una sua rivalutazione. È ormai
considerato nel novero dei 'classici'.
L'autore,
sostenitore
del verismo,
ne
applica
rigorosamente i dettami linguistici e
li
porta alle estreme conseguenze: una totale impersonalità del
narratore e una precisa osservazione dei fatti.
Periodo
storico
Il
Regno di Sicilia, tra il 1734 e il 1816, fu governato dai
Borbone,
a seguito dell'incoronazione di Carlo III di Spagna nella cattedrale
di Palermo, capitale del regno. Nel 1759, alla morte di suo fratello,
Carlo fu richiamato in Spagna. Il nuovo re, Ferdinando III di Sicilia
e IV di Napoli, venne
affidato alla tutela di un consiglio di reggenza, che aveva il
compito di amministrare la cosa pubblica fino alla maggiore età del
sovrano e
di provvedere alla sua educazione.
Nel
1767, in seguito ad una bolla di Clemente XIV, con la quale veniva
soppresso l'ordine della Compagnia di Gesù, il reggente emise un
bando di espulsione che
di fatto
allontanava
i gesuiti dai dominii
della
corona.
Molti
e continui erano i motivi di attrito tra
la casa regnante e la nobiltà siciliana.
Intorno
al 1770, i baroni siciliani si
rifecero ad
una legge del 1738, che riservava ai prelati siciliani la direzione
delle chiese di regio patronato, ed
occuparono
tutti i principali posti di comando delle organizzazioni religiose
dell'isola. In questo modo si
creò
uno stretto legame fra nobiltà e chiesa siciliana e
quest'ultima finì per appoggiare
gli interessi della prima.
Nel
1773, sei anni dopo l'espulsione dei gesuiti, il governo modificò
le
leggi
che regolavano l'alienazione del patrimonio dei
religiosi,
assegnando ai contadini anche i terreni "migliorati", cioè
non soltanto quelli poveri e incolti.
Questa nuova legislazione rappresentò il primo serio tentativo di
riforma e di colonizzazione del latifondo meridionale, costituendo la
più consistente operazione di riforma agraria attuata in Italia nel
corso del XVIII secolo. Ma
la
reazione al processo riformatore non tardò a venire. Tra il
settembre e l'ottobre del 1773, una violenta rivolta infiammò la
città di Palermo; ad innescarla furono i baroni che aizzarono le
folle allo scopo di dimostrare al governo che, in assenza del loro
beneplacito, era impossibile governare la Sicilia.
Intanto
sul continente cominciò a radicarsi la convinzione che il baronaggio
minasse la stabilità degli stati "meridionali". Venne
estromessa
la nobiltà siciliana dal ruolo primario di governo del paese. Si
affermò un orientamento antibaronale, che divenne, poi,
antisiciliano, che portò a sostenere una politica nella quale Napoli
ebbe piena supremazia su Palermo.
Verso la fine Settecento sulla scena politica italiana si affacciò Napoleone Bonaparte. Nel 1796 comandò la campagna italiana. Con l'invasione e la conquista del Regno di Napoli da parte delle truppe napoleoniche, Ferdinando III fu costretto, nel 1806, alla fuga, abbandonando Napoli e rifugiandosi a Palermo. Alla guida dell'ex regno borbonico, Napoleone collocò il fratello Giuseppe, mentre Ferdinando mantenne il controllo della Sicilia, anche grazie all'appoggio dell'Inghilterra.
In seguito alla sconfitta di Napoleone, con il Congresso di Vienna (1814-1815), le principali potenze europee ripristinarono l'Ancien régime. Inizialmente il Congresso era intenzionato a riconoscere ai Borbone la sola Sicilia e a lasciare sul trono di Napoli Gioacchino Murat, ma il sostegno di questi a Napoleone durante i Cento giorni, consentì a Ferdinando di riprendere possesso, nel 1815, del Regno di Napoli. L'8 dicembre 1816, Ferdinando III emanò la Legge fondamentale del Regno delle Due Sicilie, con la quale stabilì l'unificazione del Regno di Sicilia e del Regno di Napoli. Con la nascita del nuovo stato, il sovrano borbonico assunse il titolo di Re del Regno delle Due Sicilie, divenendo Ferdinando I delle Due Sicilie.
La fusione dei due regni in un unico stato, dove Napoli assumeva il ruolo di capitale, ebbe come conseguenza la soppressione della Costituzione in Sicilia e la perdita, per Palermo, delle sedi centrali del governo, provocando malumori nell'opinione pubblica siciliana, che si concretizzarono pochi anni dopo nella rivolta indipendentista del 1820.
Verso la fine Settecento sulla scena politica italiana si affacciò Napoleone Bonaparte. Nel 1796 comandò la campagna italiana. Con l'invasione e la conquista del Regno di Napoli da parte delle truppe napoleoniche, Ferdinando III fu costretto, nel 1806, alla fuga, abbandonando Napoli e rifugiandosi a Palermo. Alla guida dell'ex regno borbonico, Napoleone collocò il fratello Giuseppe, mentre Ferdinando mantenne il controllo della Sicilia, anche grazie all'appoggio dell'Inghilterra.
In seguito alla sconfitta di Napoleone, con il Congresso di Vienna (1814-1815), le principali potenze europee ripristinarono l'Ancien régime. Inizialmente il Congresso era intenzionato a riconoscere ai Borbone la sola Sicilia e a lasciare sul trono di Napoli Gioacchino Murat, ma il sostegno di questi a Napoleone durante i Cento giorni, consentì a Ferdinando di riprendere possesso, nel 1815, del Regno di Napoli. L'8 dicembre 1816, Ferdinando III emanò la Legge fondamentale del Regno delle Due Sicilie, con la quale stabilì l'unificazione del Regno di Sicilia e del Regno di Napoli. Con la nascita del nuovo stato, il sovrano borbonico assunse il titolo di Re del Regno delle Due Sicilie, divenendo Ferdinando I delle Due Sicilie.
La fusione dei due regni in un unico stato, dove Napoli assumeva il ruolo di capitale, ebbe come conseguenza la soppressione della Costituzione in Sicilia e la perdita, per Palermo, delle sedi centrali del governo, provocando malumori nell'opinione pubblica siciliana, che si concretizzarono pochi anni dopo nella rivolta indipendentista del 1820.
I
luoghi
Nonostante
nel libro vengano descritti luoghi di campagna e di piccole città -
la
descrizione di Milazzo è molto particolare – quello che è chiaro
è quanto i personaggi di De Roberto, prima fra tutti Teresa, siano
attratti dal fascino
della grande città, dalla vita frenetica che lì vi si può
condurre, con visite, spettacoli teatrali, passeggiate ed inviti.
Firenze, Messina, Palermo, Roma,
nonostante i dolori, le delusioni, i fallimenti, ovunque
un frusciare di sete e merletti. Nei grandi teatri quello che più
conta non sono la musica, le scene, le rappresentazioni ma chi è
presente, farsi notare, esserci.
L'adolescenza di Teresa è ambientata per buona parte a Milazzo ed è a Milazzo che torna delusa da una vita piena di amori sbagliati. Si rifugia nel Giardino di Villa Zirilli a contrada Gelso. Si tratta di un parco botanico del '700, segreto e nascosto all'interno di Villa Zirilli, che conserva ancora oggi tutto il suo fascino. Oggi è un luogo dedicato le feste nuziali.
L'adolescenza di Teresa è ambientata per buona parte a Milazzo ed è a Milazzo che torna delusa da una vita piena di amori sbagliati. Si rifugia nel Giardino di Villa Zirilli a contrada Gelso. Si tratta di un parco botanico del '700, segreto e nascosto all'interno di Villa Zirilli, che conserva ancora oggi tutto il suo fascino. Oggi è un luogo dedicato le feste nuziali.
Alcune
'eroine' dei romanzi dell'Ottocento
Gertrude
È
il nome del personaggio che Alessandro Manzoni
dà
alla
Monaca
di Monza, nei
Promessi Sposi (1827
poi 1840 e 1842). Nella realtà era Suor
Virginia Maria, al secolo Marianna de Leyva y Marino (1575 – 1650),
protagonista di un celebre scandalo che sconvolse Monza agli inizi
del XVII secolo. Figlia
di un nobile spagnolo, tredicenne, era
stata
costretta
ad entrare in
convento e
a sedici anni pronunciò i voti. Ebbe
una
relazione con un uomo, il conte Gian Paolo Osio, dalla quale nacquero
almeno due figli. L'amante uccise tre persone per nascondere la
relazione.
Suor
Virginia, dopo
un processo, fu
condannata a essere chiusa,
quasi murata, in una stanzetta
dove passò
13 anni. Ne
I
promessi sposi,
Manzoni si
ispira a questa storia
ma cambia molti elementi. Rimane l'orrore della vicenda, ma anche una
descrizione accorata della fanciullezza di questa bimba, costretta a
prepararsi al suo futuro destino anche
giocando con le bambole vestite da suora. Anche
Gertrude, come Teresa, è impotente a reagire alle decisioni della
famiglia sulla sua vita e questo fa sì che siano entrambe incapaci
di vivere il
presente nella sua concretezza e
vadano solo inseguendo delle illusioni, inevitabilmente destinate a
diventare delusioni.
Emma Bovary
Emma è la protagonista de Madame Bovary, primo romanzo di Gustave Flaubert (1856). All'uscita fu messo sotto inchiesta per oltraggio alla morale. Dopo l'assoluzione, un anno dopo, divenne un bestseller. Oggi è considerato uno dei primi esempi di romanzo realista. Emma, moglie di un ufficiale sanitario, è un'adultera e vive al di sopra dei propri mezzi. Suo desiderio vitale è sfuggire alla noia ed al vuoto della vita di provincia. Emma sente fortissimo il contrasto tra i suoi ideali romantici, nati dalle sue letture dell'adolescenza, e la realtà soffocante che la circonda e la semplicità del marito. Flaubert si ispirò alle vicende realmente accadute di una giovane donna, Delphine Delamare, suicida nel 1848. Lo scrittore, se da un lato ridicolizza gli ideali romantici e pericolosi di Emma, tuttavia ne attribuisce la responsabilità ai libri letti, assolutamente negativi, e condanna anche la borghesia di provincia. Non si erge mai a giudice della sua eroina; e anche De Roberto non condanna mai Teresa.
Emma Bovary
Emma è la protagonista de Madame Bovary, primo romanzo di Gustave Flaubert (1856). All'uscita fu messo sotto inchiesta per oltraggio alla morale. Dopo l'assoluzione, un anno dopo, divenne un bestseller. Oggi è considerato uno dei primi esempi di romanzo realista. Emma, moglie di un ufficiale sanitario, è un'adultera e vive al di sopra dei propri mezzi. Suo desiderio vitale è sfuggire alla noia ed al vuoto della vita di provincia. Emma sente fortissimo il contrasto tra i suoi ideali romantici, nati dalle sue letture dell'adolescenza, e la realtà soffocante che la circonda e la semplicità del marito. Flaubert si ispirò alle vicende realmente accadute di una giovane donna, Delphine Delamare, suicida nel 1848. Lo scrittore, se da un lato ridicolizza gli ideali romantici e pericolosi di Emma, tuttavia ne attribuisce la responsabilità ai libri letti, assolutamente negativi, e condanna anche la borghesia di provincia. Non si erge mai a giudice della sua eroina; e anche De Roberto non condanna mai Teresa.
Nora
Nora è la protagonista dell'opera teatrale di Henrik Ibsen Casa di bambola (prima rappresentazione al Teatro Reale di Copenaghen nel 1879). Il testo, scritto ad Amalfi, è una critica sui ruoli tradizionali della moglie e del marito nell'epoca vittoriana. Nei suoi primi appunti, Ibsen scrisse: «Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un'altra completamente differente in una donna. L'una non può comprendere l'altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo.». Il personaggio di Nora è ispirato da Laura Kieler (1849 - 1932), scrittrice e amica di Ibsen, protagonista di un celebre scandalo dell'epoca. Appare come una bambina capricciosa con la voglia solo di giocare e divertirsi. Si accorge improvvisamente che il marito non è una nobile persona e che lei è considerata solo una bella bambola. E ormai la vita di Nora non può più essere quella di prima e decide di lasciare il marito in cerca della sua vera identità e per «...riflettere col mio cervello e rendermi chiaramente conto di tutte le cose».
Emma
Emma
è anche il nome della protagonista di
Tristi
amori
di Giuseppe
Giacosa,
considerato uno dei capolavori del teatro verista dell’Ottocento
(prima
rappresentazione al Tetro Valle di Roma nel 1887).
Anche
questa Emma, che vive in una città di provincia, è un'adultera. Ma
qui la scena
si svolge in un interno borghese e in ogni dove i personaggi
incontrano i simboli
della vita familiare. Sono
queste cose di ogni giorno a denunciare la profanazione della retta
vita
quotidiana.
Emma si sente ormai indegna della sua casa e vuole fuggire ma alla
fine, per il bene della piccola figlia, Emma resta e accetta il
compromesso di un matrimonio ormai senza amore. Giuseppe
Giacosa (1847-1906)
è stato uno
dei drammaturghi più celebri dell’età umbertina.
Sibilla
Una
donna
è un famoso
e bel romanzo
di Sibilla Aleramo (1906).
È
considerato
uno dei primi
libri femministi apparsi in Italia. Si
tratta di un libro autobiografico
nel
quale l'autrice, in prima persona, racconta
la sua vita dalla
fanciullezza alla maturità. I
temi del libro ruotano al bel rapporto con il padre, al trasferimento
da Milano ad una cittadina del centro Italia, ai disastrosi rapporti
fra i genitori, alla violenza sessuale e al matrimonio forzato. Anche
per Sibilla, come per Teresa, la nascita del figlio non riesce a
risolvere una situazione difficile. Ma Sibilla trova la forza di
liberarsi dalla soggezione e affrontare una vita diversa ma di
maggiore dignità.
Breve biografia dell'autore
Federico
De Roberto nasce a Napoli il 16 gennaio 1861 da padre napoletano
militare di carriera e da madre
siciliana discendente
da una famiglia di piccola ma antica nobiltà isolana. Alla
morte del padre si trasferisce a Catania, con la madre e i fratelli,
dove studia diligentemente
presso
l’istituto tecnico e si diploma geometra nel 1879. In
quegli stessi
anni
comincia a dedicarsi per proprio conto, con grande passione, allo
studio del latino e dei classici. Si
iscrive all’Università, Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e
naturali, ma non arriverà alla laurea. A
vent’anni abbandona gli studi universitari per dedicarsi
interamente alla letteratura e al giornalismo (già
a quindici anni aveva pubblicato
il suo primo articolo, una cronaca della
traslazione delle ceneri di Vincenzo Bellini a Catania, su
L’Illustrazione
Italiana
di Milano).
Nel
1881 fonda,
insieme ad altri, la
rivista letteraria settimanale Don
Chisciotte,
sulla quale pubblica articoli di critica. Entra
in contatto e diventa amico di
Luigi Capuana e di
Giovanni Verga. Scrive
su varie riviste. Nel
1887 appare la prima vera opera di narrativa, La
Sorte,
una raccolta di novelle. Nel
1889 esce il romanzo Ermanno
Raeli,
vagamente
autobiografico.
De Roberto inizia
studiare la
società aristocratica siciliana che diventerà
il tema fondamentale delle sue opere maggiori. Pubblica
due volumi di racconti e comincia ad allontanarsi, a volte anche per
lunghi periodi, dalla soffocante Catania. A Milano scrive alcune
delle sue opere più importanti. Nel 1891 esce
il secondo romanzo, L’illusione.
Lavora
molto per
questo
romanzo, con impegno continuo
ed estenuante,
tanto da
aggravare
i disturbi nervosi di
cui
da qualche tempo soffre.
Ma
la sua collaborazione ai giornali e periodici continua, mentre,
nel 1894, esce quello
che è considerato il
suo capolavoro, I
Viceré,
secondo
capitolo della trilogia sulla storia della famiglia Uzeda. Il
libro inizia con la morte di Teresa – protagonista de
L'illusione
- e
si chiude con l’elezione al Parlamento, nel 1882, di Consalvo
Uzeda, nipote
abiatico di Teresa.
È
l'inizio del suo
progressivo isolamento e la “conferma” che, malgrado i suoi
sforzi letterari, nessuno avrebbe inserito il suo nome fra gli
scrittori italiani notevoli.
Nel
1897
pubblica un altro romanzo, Spasimo,
una sorta di giallo psicologico che verrà in seguito rielaborato in
testo teatrale con il titolo La
tormenta.
Al
passaggio al nuovo secolo l'autore è sempre più spossato da
disturbi
nervosi.
Soggiorna spesso a Catania. Nel
1905 si
reca
in Svizzera per
farsi
visitare
da un famoso dottore che lo solleva un po’ dai suoi gravi disturbi
psicosomatici. Il
dott.
Dubois lo
definisce,
con una diagnosi alquanto approssimativa, come «uno dei più rari
casi di isterismo mascolino». È
anche preoccupato per la
situazione finanziaria
della famiglia, tutt’altro che florida.
Nel 1908 ricomincia un periodo di grande vitalità e fervore lavorativo. Torna a viaggiare, soggiorna a lungo a Roma, dove frequenta gli ambienti politici. Il soggiorno romano lo reinserisce in un giro di conoscenze e di amicizie letterarie. Ma presto, con l'approssimarsi della guerra, torna definitivamente a Catania. La stanchezza letteraria diviene sempre più evidente. Pubblica, nel 1911, la Messa di Nozze. Al termine della guerra escono le Novelle di guerra, nove brevi racconti, composti tra il 1919 e il 1923. Nel 1926 muore la madre novantenne cui il figlio ha dedicato un’assistenza e una devozione assolute. Ha la netta sensazione di essere un fallito. È riuscito a superare brillantemente il boicottaggio degli ambienti più conservatori, ma non il giudizio del filosofo Benedetto Croce, che definisce I Vicerè un feuiletton, un’opera farraginosa e cerebrale, tutta di intelletto e priva di sentimento. Muore, un anno dopo la madre, il 26 luglio 1927, a poco più di 66 anni.
La sua scomparsa passa quasi inosservata nell’ambiente letterario e culturale nazionale, ma non nella sua terra dove gli vengono dedicate manifestazioni e cerimonie. Nel 1926 viene pubblicato, postumo, L'imperio, sulla storia parlamentare di Consalvo e la sua vita a Roma, a partire dal 22 novembre 1882, giorno di inizio della XIV legislatura.
Nel 1908 ricomincia un periodo di grande vitalità e fervore lavorativo. Torna a viaggiare, soggiorna a lungo a Roma, dove frequenta gli ambienti politici. Il soggiorno romano lo reinserisce in un giro di conoscenze e di amicizie letterarie. Ma presto, con l'approssimarsi della guerra, torna definitivamente a Catania. La stanchezza letteraria diviene sempre più evidente. Pubblica, nel 1911, la Messa di Nozze. Al termine della guerra escono le Novelle di guerra, nove brevi racconti, composti tra il 1919 e il 1923. Nel 1926 muore la madre novantenne cui il figlio ha dedicato un’assistenza e una devozione assolute. Ha la netta sensazione di essere un fallito. È riuscito a superare brillantemente il boicottaggio degli ambienti più conservatori, ma non il giudizio del filosofo Benedetto Croce, che definisce I Vicerè un feuiletton, un’opera farraginosa e cerebrale, tutta di intelletto e priva di sentimento. Muore, un anno dopo la madre, il 26 luglio 1927, a poco più di 66 anni.
La sua scomparsa passa quasi inosservata nell’ambiente letterario e culturale nazionale, ma non nella sua terra dove gli vengono dedicate manifestazioni e cerimonie. Nel 1926 viene pubblicato, postumo, L'imperio, sulla storia parlamentare di Consalvo e la sua vita a Roma, a partire dal 22 novembre 1882, giorno di inizio della XIV legislatura.
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Video
di Claudio Italiano, ispirati ai luoghi di cui al romanzo verista del
grande scrittore milazzese, Federico De Roberto, intitolato
"L'illusione".