venerdì 31 luglio 2015

La passione antiquaria di Andrea Sperelli e Gabriele D'Annunzio

Il  conte Andrea Sperelli, giovane artista e raffinato esteta, nel “grigio diluvio democratico odierno” intende “fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”.
Il gusto raffinato dello Sperelli è confermato dalle moltissime citazioni esplicite di beni, merci e oggetti d’arte che si susseguono nel Piacere.
Ecco allora le maioliche di Castel Durante, i magnifici piatti arabo-ispanici, l’elmo del Pallajolo, il vaso di cristallo di rocca appartenuto a Niccolò Niccoli, la coperta del corredo di Bianca Maria Sforza…..In altre parole la “domus aurea” ha bisogno di un’oggettistica di pregio perché la gran maniera di gentildonne e gentiluomini possa emergere incontrastata.
Andrea Sperelli, come D’Annunzio, è un amante degli oggetti preziosi, quasi tutti riferiti all’epoca rinascimentale, periodo storico prediletto dallo stesso D’Annunzio. La grande civiltà rinascimentale ha segnato un momento glorioso e superbo della storia umana e che deve essere di esempio per le nuove generazioni.
I tanti oggetti d’arte citati nel romanzo hanno, quindi, un alto valore simbolico, ed evocativo. Essi richiamano alla memoria accadimenti di un glorioso passato da custodire gelosamente per non alterare l’alto valore tramandato in un presente che rischia, con la sua mediocrità, di disprezzare i valori dell’arte.
I tanti “pezzi” d’antiquariato citati nel romanzo sono esistiti veramente oppure sono invenzione dell’autore?
A questa domanda cerco di dare una risposta che non intende avere nessuna pretesa di esaustività; gli oggetti presi in considerazione sono solo alcuni tra i numerosissimi; quando non ho trovato informazioni sicure accenno comunque la storia dei personaggi storici ad essi collegati, ad evidenziare, appunto, il potere fortemente evocativo degli oggetti.

Il vaso di cristallo di rocca appartenuto a Niccolò Niccoli (pag.60 ed. Oscar Mondadori) non posso affermare sia esistito veramente, ma è assai verosimile considerata la sua passione per oggetti d’arte.
Il Niccoli (1365 ca. 1437) è stato un letterato e umanista fiorentino. Esperto collezionista e bibliofilo protetto e sovvenzionato da Cosimo de Medici. Durante i suoi viaggi nell’Urbe iniziò a collezionare con passione oggetti d’arte (dipinti, marmi, vasi, bronzi, monete) che raccolse nella sua abitazione. Quando morì tutti i suoi manoscritti vennero consegnati, in seguito a disposizione testamentaria, a Cosimo de Medici, che li donò alla biblioteca presso l’allora convento domenicano di San Marco.
Proprio dal Niccoli Cosimo de Medici acquistò probabilmente quelle gemme che entrarono a far parte della Collezione  Medicea e che costituiscono una parte del tesoro dei Medici che venne incrementato dai figli di Cosimo e dal nipote Lorenzo, detto il Magnifico (www.palazzo-medici.it).
Della collezione di gemme di Lorenzo de Medici faceva parte il cammeo in agata sardonica raffigurante un centauro, che Elena Muti acquista durante l’asta che si svolge in via Sistina:
“[…] Un centauro intagliato in un sardonico, operai assai fina, forse proveniente dal disperso museo di Lorenzo il Magnifico, la tentò. […] Potrebbe essere il Centauro che Donatello copiò”. (pag.67 ed.Oscar Mondadori). Credo si possa individuare la preziosa gemma nel cammeo che attualmente , fa parte della  collezione Farnese, conservata  presso il Museo Archeologico di Napoli.


http://www.palazzo-medici.it/mediateca/it/thumb.php?file=../meme_maker/fototeca/HHR/04-322.jpg&sizex=150&sizey=150&mode_square=cut

Sul cammeo in agata sardonica, a fondo bianco-avorio e figura bruno-ambrata, è raffigurato un centauro incidente verso destra. La parte superiore, umana, mostra un uomo dal volto barbuto, con le orecchie caprine, coperto solo parzialmente da una pelle di leone, che svolazza all’indietro sullo sfondo. La mano sinistra tiene un tirso, poggiato sulla spalla; la destra è piegata in alto a tener stabile un grande cratere decorato con foglie e poggiato sulla spalla. Il cammeo faceva parte della collezione di Lorenzo de’ Medici, come ricorda l’iscrizione che egli fece apporre in esergo” . ( www. cir.campania.beniculturali.it).
Il centauro della gemma presenta notevoli somiglianze con quello raffigurato nel lato orientale del porticato di Palazzo Medici Riccardi a Firenze.

Il loggiato, che corre ampio lungo il perimetro del cortile, è delimitato su ogni lato da quattro colonne in pietra serena, sulle arcate, corre un fregio con festoni a graffito monocromo  e 12 medaglioni in pietra, realizzati da uno scultore vicino a Donatello (il Centauro che Donatello copiò).
Dentro i tondi si alternano stemmi medicei e rilievi di soggetto mitologico ispirati alla collezione di gemme antiche dei Medici. (www.palazzo-medici.it).

Durante “la vendita cardinalizia” che si svolge in via Sistina (pag.66 ed. Oscar Mondadori), è citato un elmo d’argento cesellato da Antonio Pallajulo che “ la Signoria di Firenze donò al conte d’Urbino nel 1472, in ricompensa de’ servigi da lui resi nel tempo della presa di Volterra”. Quest’elmo è esistito veramente, ma è andato perduto.  “Nel 1472 Antoni Benci, o del Pallaiolo,  è citato per la prima volta nel Libro dei debitori e creditori della Compagnia di S. Luca come "orafo e dipintore" (I. Del Badia, 1905). Nello stesso anno (24 luglio) lavora a un elmetto d'argento, perduto, che il 18 giugno (cfr. Milanesi, in Vasari, p. 298) la Signoria fiorentina aveva deliberato di donare al conte d'Urbino vincitore di Volterra (Gaye, pp. 570 s.)”. (www.treccani.it).

Tra le cose più preziose possedute da Andrea Sperelli era una coperta di seta fina, d’un colore azzurro disfatto […] essa proveniva dal corredo di Bianca Maria Sforza, nipote di Ludovico il Moro; la quale andò sposa all’imperatore Massimiliano.”
Bianca Maria Sforza, nipote del cinico e spregiudicato Ludovico Sforza, detto il Moro, fu la «merce di scambio» che il signore di Milano offrì a Massimiliano I d' Asburgo per ottenere la sospirata investitura imperiale e diventare così, finalmente, legittimo duca di Milano. Per invogliare l' imperatore, Ludovico fornì alla ragazza una dote principesca,
Di ritorno dalla visita al Castello di Milano, il 19 settembre 1492 gli ambasciatori veneziani Giorgio Contarini e Paolo Pisani riferirono all' imperatore Massimiliano I d' Asburgo di aver visto gioielli e oreficerie «le quali tutte non sono da comparar cum quelle del episcopo de Salzpurg, ne le altre, ma sono de molto major valuta». Rimasero insomma a bocca aperta. Proprio quello che voleva Ludovico il Moro, che aveva esposto tutte le oreficerie per far colpo sull' imperatore. La dote ammontava a 150 mila ducati, dei quali 100 mila in denaro, 40 mila in gioielli e 10 mila in vesti e ornamenti (cfr. Ceruti A. in “Arch. St. Lomb” vol.II 1875 pp.51-75) .
La futura  sposa aveva davvero portato lussuose coperte ricamate al suo imperiale consorte e a Milano, dove D’Annunzio pubblicò il suo romanzo, ciò era noto da tempo: oltre alla pubblicazione dell’inventario del corredo ad opera di Antonio Ceruti  sull’Archivio Storico Lombardo (1875), nel 1888 venne pubblicato il libro di Felice Calvi, Bianca Maria Sforza Visconti, regina dei Romani, imperatrice germanica”.  
L’inventario del corredo registrava molti tessuti ricamati, e specialmente tre addobbi da letto, con sontuose coperte ricamate a motivi di ghirlande o con la divisa della colombina. (M. Teresa Binaghi Olivari in   www.annatextiles.ch ).

Elena Muti avrebbe ereditato da sua zia Flaminia “un gran bacino d’argento che si chiamava la Tazza di Alessandro e doveva esser compreso fra le salmerie favolose che il Valentino portò seco nel suo ingresso a Chinon descritto dal signor di Brantome”.
Pierre de Bourdelle de BrantÔme (1540-1614) ha descritto nella sua opera “ Vies des hommes illustres et grands capitains “ l’ingresso, presentato come uno spettacoloso trionfo, di Cesare Borgia a Chinon nel dicembre 1498. (A margine ricordo che nel castello di Chinon, nel 1308 ,  venne imprigionato Jacques de Molay, l’ultimo Gran Maestro dell Ordine dei Templari, prima della sua esecuzione avvenuta poi a Parigi). Certamente tra i preziosi bagagli non c’era il citato bacino; tuttavia la precisazione storica trasmette una patina di veridicità a tutti i particolari descritti a conferma dell’assoluta incapacità dei personaggi di circondarsi di oggetti comuni. (Nota di G. Prandolini in “ Prose scelte” di D’Annunzio-ed. Giunti 1995).
Cosa era andato a fare il Valentino a Chinon? L’incontro tra il Borgia e il sovrano francese era l’atto finale di accordi avvenuti precedentemente.
Risultato di questi accordi fu un trattato segreto tra Alessandro VI e Luigi XII. In virtù di esso il papa si impegnava a dare al re la dispensa necessaria per il matrimonio, mentre il Borgia avrebbe ottenuto in Francia le contee di Valence e Diois e il castello di Issoudun quali feudi da parte del re; Valence sarebbe stata elevata a ducato così che il Borgia avrebbe assunto il titolo di duca del Valentinois. Al Borgia era poi garantita una rendita di 20.000 franchi in oro dai feudi francesi e un'entrata di altri 20.000 franchi in oro come sussidio della corona di Francia. Cento soldati pagati da Luigi XII sarebbero stati poi al suo comando. Inoltre il re si impegnava a sostenere la domanda di matrimonio del Borgia presso Carlotta, fermo restando, però, che Carlotta non doveva essere forzata. Infine la nuova posizione sociale del Borgia avrebbe trovato stabilità con la sua inclusione nel più alto ordine cavalleresco di Francia, quello di S. Michele (www.treccani.it).
Il Borgia fece la sua entrata a Chinon “con tanto facto e tanta pompa, che mai imperator non entrò in Roma si magnifico”. Aveva con sé più di 100 gentiluomini, altrettanti scudieri e staffieri, 50 muli con i forzieri, “[…] vi erano due tamburini, i trombettieri, 4 lacchè vestiti di velluto cremisi e seta gialla. Cesare vestiva un abito a due colori giallo e rosso, cosparso di perle e pietre preziose: intorno al berretto giravano due file di rubini, grosse come fave. Al collo portava una collana che valeva duecentomila lire, e perfino le scarpe, ricamate con perle, erano allacciate con cordoni d’oro. Comunque tutto questo splendore non ebbe alcun effetto su colei alla quale era principalmente dedicato, poiché quando si rivelò a Carlotta che Cesare si recava in Francia nella speranza che ella volesse accettarlo come sposo, rispose che non avrebbe mai preso per marito un  uomo che non solo era un prete, ma figlio di un  prete, non solo assassino, ma un fratricida, e non solo infame per nascita, ma per costume e azioni”. (“I Borgia” di A. Dumas, trd. A.Fini, Ed. Fermento).
Non sappiamo se le parole di Carlotta furono proprio queste, è certo però, che ella rifiutò di sposarlo.  Il re riuscì a convincere un'altra dama di sangue reale che viveva alla sua corte, Carlotta d'Albret, a sposare il Borgia. Anche questa e la sua famiglia - il padre Alain d'Albret e il fratello, re di Navarra - opposero all'inizio una forte resistenza; ma alla fine acconsentirono per le insistenze di Luigi XII dal cui appoggio dipendeva l'indipendenza della Navarra.
Le mie riflessioni finiscono qui;  mi piace terminare con una interessante considerazione, non mia, ma di Aramini Nadia (http://padis.uniroma1.it/bitstream/10805/672/1/AraminiNadia119.pdf) la quale conclude la sua ricerca di dottorato in italianistica così:
“D’Annunzio che, attraverso la scrittura, ha celebrato, tra le tante altre cose, i fasti del Rinascimento, ha vissuto in ambienti ricreati con richiami ed immagini di quel glorioso periodo, circondato da libri come un vero e proprio principe rinascimentale, alla fine della sua vita ha voluto lasciare, nella sua ultima casa, in quella che doveva perpetuare il suo mito, un messaggio ben preciso, nella consapevolezza che il libro, al di là dell’oggetto da ammirare, è sempre il tramite di qualcosa di più profondo che ha a che vedere con il mistero della vita. Un messaggio che il Poeta lascia a chiare lettere nel motto ricorrente nella casa e nello stesso Catalogo della biblioteca: ALIQUID AMPLIUS INVENIES IN SILVIS QUAM IN LIBRIS (“troverete più in foreste che in libri” . Epist.106 di san Bernardo ), un motto severo, dettato da un padre della Chiesa che ci riporta, in parole povere, con i piedi per terra e che ci dà indubbiamente un nuovo motivo di riflessione, uno spunto diverso per penetrare nell’immenso tempio dell’opera dannunziana.
Ed è proprio il suo fedele bibliotecario che ci consegna quest’ultima immagine di un uomo in perpetua concordia discors che, nel motto ricorrente, condensa in poche parole il suo ultimo messaggio di Vate:
A sé stesso e agli altri, nell’atto di penetrare nel tempio che conserva gli echi delle vicende, delle passioni, dei pensieri dell’umanità, egli ricorda che lo studio è grande cosa, soltanto a patto di non dimenticare che il libro non è se non il riflesso della vita, della natura, della Creazione”. (A. Bruers. La biblioteca del Vittoriale, cit., p.10).


Als ich kann
Tania Ruggeri