mercoledì 1 aprile 2015

L'illusione


Circolo di lettura “Letture in giardino”
in collaborazione con lo Studio Arti Floreali

L'illusione

di Federico De Roberto



Il libro è reperibile, in varie edizioni e a volte insieme ad altre opere di De Roberto, presso le seguenti Biblioteche di Roma Capitale:
Borghesiana, Casa del Parco, Colli Portuensi, Galline Bianche, Goffredo Mameli, Guglielmo Marconi, Pier Paolo Pasolini, Gianni Rodari, Rugantino, Vaccheria Nardi e Valle Aurelia
È anche gratuitamente scaricabile (in quanto ormai fuori da copyright) al seguente indirizzo: http://www.liberliber.it/mediateca/libri/d/de_roberto/l_illusione/pdf/de_roberto_l_illusione.pdf


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L'illusione

Il romanzo è stato pubblicato nel 1891. È il secondo volume di una trilogia che racconta le vicende della grande famiglia aristocratica catanese degli Uzeda di Francalanza. Della trilogia fanno parte I viceré (1894) e L'Imperio (postumo, 1929).

Il romanzo fu definito dallo stesso autore Federico De Roberto un “lungo monologo di 450 pagine!” Personaggio principale del libro è la ricca nobildonna Teresa Uzeda ( Donna Teresa Risà in Uzeda, principessa di Francalanza e di Mirabella; figlia di un barone di Riscemi; sposa del principe Consalvo VII Uzeda di Francalanza, più giovane di lei di dieci anni, con cui dà alla luce sette figli ), di cui De Roberto narra la vita dall'infanzia alla maturità. A fare da sfondo una Sicilia aristocratica e patriarcale. Caratteristica principale della donna, fin dalla fanciullezza, è sempre l'amore più per l'apparire che per la realtà della vita. Teresa è superficiale e capricciosa e la sua cultura è fondata sulle favole della vecchia nutrice, sul melodramma e sulla cattiva letteratura. Nei fatti è una donna che cerca la sua identificazione nei rapporti con gli altri e nell'illusione dell'amore, ma si rivela impotente a contrastare la decisione dei parenti e del nonno in particolare che ha scelto per lei l’uomo che dovrebbe essere suo sposo.
Di Teresa citiamo qualche definizione data all'inizio de I Viceré, che si apre proprio con la morte dei lei, ormai anziana, incapace di leggere e scrivere se non nel «libro delle devozioni e in quello dei conti»:

“Gran donna, la principessa! Basta dire che rifece la casa già fallita!”

“Costrinse don Lodovico, il secondogenito, a farsi monaco mentre gli toccava il titolo di duca; la primogenita fu chiusa alla badia! … Se campava ancora ci avrebbe messo anche l’altra! … Maritò Chiara perché questa non voleva maritarsi! ... Tutto per amor d’uno solo, del contino Raimondo ….”

“Per lei, come per tutti i capi delle grandi famiglie, i figliuoli desiderabili ed amabili non potevano essere se non maschi: le femmine non sapevano far altro che mangiare a ufo e portar via parte della roba di casa, se andavano a marito. Questa idea sadica molto ben radicata nel suo cervello, ammetteva veramente qualche eccezione - ella stessa, per esempio - ma verso la prole era la sola che la guidava.”

Ne I Viceré, Teresa risulta nata nel 1795 e muore nel 1855. Entra sposa nella famiglia Uzeda già 'molto in età', intorno ai trent'anni!

Il romanzo non ha avuto una grande fortuna tra i contemporanei e solo negli ultimi anni si assiste ad una sua rivalutazione. È ormai considerato nel novero dei 'classici'. L'autore, sostenitore del verismo, ne applica rigorosamente i dettami linguistici e li porta alle estreme conseguenze: una totale impersonalità del narratore e una precisa osservazione dei fatti.



Periodo storico

Il Regno di Sicilia, tra il 1734 e il 1816, fu governato dai Borbone, a seguito dell'incoronazione di Carlo III di Spagna nella cattedrale di Palermo, capitale del regno. Nel 1759, alla morte di suo fratello, Carlo fu richiamato in Spagna. Il nuovo re, Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli, venne affidato alla tutela di un consiglio di reggenza, che aveva il compito di amministrare la cosa pubblica fino alla maggiore età del sovrano e di provvedere alla sua educazione.

Nel 1767, in seguito ad una bolla di Clemente XIV, con la quale veniva soppresso l'ordine della Compagnia di Gesù, il reggente emise un bando di espulsione che di fatto allontanava i gesuiti dai dominii della corona. Molti e continui erano i motivi di attrito tra la casa regnante e la nobiltà siciliana. Intorno al 1770, i baroni siciliani si rifecero ad una legge del 1738, che riservava ai prelati siciliani la direzione delle chiese di regio patronato, ed occuparono tutti i principali posti di comando delle organizzazioni religiose dell'isola. In questo modo si creò uno stretto legame fra nobiltà e chiesa siciliana e quest'ultima finì per appoggiare gli interessi della prima.

Nel 1773, sei anni dopo l'espulsione dei gesuiti, il governo modificò le leggi che regolavano l'alienazione del patrimonio dei religiosi, assegnando ai contadini anche i terreni "migliorati", cioè non soltanto quelli poveri e incolti. Questa nuova legislazione rappresentò il primo serio tentativo di riforma e di colonizzazione del latifondo meridionale, costituendo la più consistente operazione di riforma agraria attuata in Italia nel corso del XVIII secolo. Ma la reazione al processo riformatore non tardò a venire. Tra il settembre e l'ottobre del 1773, una violenta rivolta infiammò la città di Palermo; ad innescarla furono i baroni che aizzarono le folle allo scopo di dimostrare al governo che, in assenza del loro beneplacito, era impossibile governare la Sicilia. Intanto sul continente cominciò a radicarsi la convinzione che il baronaggio minasse la stabilità degli stati "meridionali". Venne estromessa la nobiltà siciliana dal ruolo primario di governo del paese. Si affermò un orientamento antibaronale, che divenne, poi, antisiciliano, che portò a sostenere una politica nella quale Napoli ebbe piena supremazia su Palermo.
Verso la fine Settecento sulla scena politica italiana si affacciò Napoleone Bonaparte.
Nel 1796 comandò la campagna italiana. Con l'invasione e la conquista del Regno di Napoli da parte delle truppe napoleoniche, Ferdinando III fu costretto, nel 1806, alla fuga, abbandonando Napoli e rifugiandosi a Palermo. Alla guida dell'ex regno borbonico, Napoleone collocò il fratello Giuseppe, mentre Ferdinando mantenne il controllo della Sicilia, anche grazie all'appoggio dell'Inghilterra.
In seguito alla sconfitta di Napoleone, con il Congresso di Vienna (1814-1815), le principali potenze europee ripristinarono l'Ancien régime. Inizialmente il Congresso era intenzionato a riconoscere ai Borbone la sola Sicilia e a lasciare sul trono di Napoli Gioacchino Murat, ma il sostegno di questi a Napoleone durante i Cento giorni, consentì a Ferdinando di riprendere possesso, nel 1815, del Regno di Napoli. L'8 dicembre 1816, Ferdinando III emanò la Legge fondamentale del Regno delle Due Sicilie, con la quale stabilì l'unificazione del Regno di Sicilia e del Regno di Napoli. Con la nascita del nuovo stato, il sovrano borbonico assunse il titolo di Re del Regno delle Due Sicilie, divenendo Ferdinando I delle Due Sicilie.
La fusione dei due regni in un unic
o stato, dove Napoli assumeva il ruolo di capitale, ebbe come conseguenza la soppressione della Costituzione in Sicilia e la perdita, per Palermo, delle sedi centrali del governo, provocando malumori nell'opinione pubblica siciliana, che si concretizzarono pochi anni dopo nella rivolta indipendentista del 1820.



I luoghi

Nonostante nel libro vengano descritti luoghi di campagna e di piccole città - la descrizione di Milazzo è molto particolare – quello che è chiaro è quanto i personaggi di De Roberto, prima fra tutti Teresa, siano attratti dal fascino della grande città, dalla vita frenetica che lì vi si può condurre, con visite, spettacoli teatrali, passeggiate ed inviti. Firenze, Messina, Palermo, Roma, nonostante i dolori, le delusioni, i fallimenti, ovunque un frusciare di sete e merletti. Nei grandi teatri quello che più conta non sono la musica, le scene, le rappresentazioni ma chi è presente, farsi notare, esserci.
L
'adolescenza di Teresa è ambientata per buona parte a Milazzo ed è a Milazzo che torna delusa da una vita piena di amori sbagliati. Si rifugia nel Giardino di Villa Zirilli a contrada Gelso. Si tratta di un parco botanico del '700, segreto e nascosto all'interno di Villa Zirilli, che conserva ancora oggi tutto il suo fascino. Oggi è un luogo dedicato le feste nuziali.




Alcune 'eroine' dei romanzi dell'Ottocento

Gertrude

È il nome del personaggio che Alessandro Manzoni dà alla Monaca di Monza, nei Promessi Sposi (1827 poi 1840 e 1842). Nella realtà era Suor Virginia Maria, al secolo Marianna de Leyva y Marino (1575 – 1650), protagonista di un celebre scandalo che sconvolse Monza agli inizi del XVII secolo. Figlia di un nobile spagnolo, tredicenne, era stata costretta ad entrare in convento e a sedici anni pronunciò i voti. Ebbe una relazione con un uomo, il conte Gian Paolo Osio, dalla quale nacquero almeno due figli. L'amante uccise tre persone per nascondere la relazione. Suor Virginia, dopo un processo, fu condannata a essere chiusa, quasi murata, in una stanzetta dove passò 13 anni. Ne I promessi sposi, Manzoni si ispira a questa storia ma cambia molti elementi. Rimane l'orrore della vicenda, ma anche una descrizione accorata della fanciullezza di questa bimba, costretta a prepararsi al suo futuro destino anche giocando con le bambole vestite da suora. Anche Gertrude, come Teresa, è impotente a reagire alle decisioni della famiglia sulla sua vita e questo fa sì che siano entrambe incapaci di vivere il presente nella sua concretezza e vadano solo inseguendo delle illusioni, inevitabilmente destinate a diventare delusioni.
Emma Bovary
Emma è la protagonista de Madame Bovary, primo romanzo di Gustave Flaubert (1856). All'uscita fu messo sotto inchiesta per oltraggio alla morale. Dopo l'assoluzione, un anno dopo, divenne un bestseller. Oggi è considerato uno dei primi esempi di romanzo realista. Emma, moglie di un ufficiale sanitario, è un'adultera e vive al di sopra dei propri mezzi. Suo desiderio vitale è sfuggire alla noia ed al vuoto della vita di provincia. Emma sente fortissimo il contrasto tra i suoi ideali romantici, nati dalle sue letture dell'adolescenza, e la realtà soffocante che la circonda e la semplicità del marito. Flaubert si ispirò alle vicende realmente accadute di una giovane donna, Delphine Delamare, suicida nel 1848. Lo scrittore, se da un lato ridicolizza gli ideali romantici e pericolosi di Emma, tuttavia ne attribuisce la responsabilità ai libri letti, assolutamente negativi, e condanna anche la borghesia di provincia. Non si erge mai a giudice della sua eroina; e anche De Roberto non condanna mai Teresa.


Nora
Nora è la protagonista dell'opera teatrale di Henrik Ibsen Casa di bambola (prima rappresentazione al Teatro Reale di Copenaghen nel 1879). Il testo, scritto ad Amalfi, è una critica sui ruoli tradizionali della moglie e del marito nell'epoca vittoriana. Nei suoi primi appunti, Ibsen scrisse: «Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un'altra completamente differente in una donna. L'una non può comprendere l'altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo.». Il personaggio di Nora è ispirato da Laura Kieler (1849 - 1932), scrittrice e amica di Ibsen, protagonista di un celebre scandalo dell'epoca. Appare come una bambina capricciosa con la voglia solo di giocare e divertirsi. Si accorge improvvisamente che il marito non è una nobile persona e che lei è considerata solo una bella bambola. E ormai la vita di Nora non può più essere quella di prima e decide di lasciare il marito in cerca della sua vera identità e per «...riflettere col mio cervello e rendermi chiaramente conto di tutte le cose».



Emma

Emma è anche il nome della protagonista di Tristi amori di Giuseppe Giacosa, considerato uno dei capolavori del teatro verista dell’Ottocento (prima rappresentazione al Tetro Valle di Roma nel 1887). Anche questa Emma, che vive in una città di provincia, è un'adultera. Ma qui la scena si svolge in un interno borghese e in ogni dove i personaggi incontrano i simboli della vita familiare. Sono queste cose di ogni giorno a denunciare la profanazione della retta vita quotidiana. Emma si sente ormai indegna della sua casa e vuole fuggire ma alla fine, per il bene della piccola figlia, Emma resta e accetta il compromesso di un matrimonio ormai senza amore. Giuseppe Giacosa (1847-1906) è stato uno dei drammaturghi più celebri dell’età umbertina.



Sibilla

Una donna è un famoso e bel romanzo di Sibilla Aleramo (1906). È considerato uno dei primi libri femministi apparsi in Italia. Si tratta di un libro autobiografico nel quale l'autrice, in prima persona, racconta la sua vita dalla fanciullezza alla maturità. I temi del libro ruotano al bel rapporto con il padre, al trasferimento da Milano ad una cittadina del centro Italia, ai disastrosi rapporti fra i genitori, alla violenza sessuale e al matrimonio forzato. Anche per Sibilla, come per Teresa, la nascita del figlio non riesce a risolvere una situazione difficile. Ma Sibilla trova la forza di liberarsi dalla soggezione e affrontare una vita diversa ma di maggiore dignità.


Breve biografia dell'autore

Federico De Roberto nasce a Napoli il 16 gennaio 1861 da padre napoletano militare di carriera e da madre siciliana discendente da una famiglia di piccola ma antica nobiltà isolana. Alla morte del padre si trasferisce a Catania, con la madre e i fratelli, dove studia diligentemente presso l’istituto tecnico e si diploma geometra nel 1879. In quegli stessi anni comincia a dedicarsi per proprio conto, con grande passione, allo studio del latino e dei classici. Si iscrive all’Università, Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, ma non arriverà alla laurea. A vent’anni abbandona gli studi universitari per dedicarsi interamente alla letteratura e al giornalismo (già a quindici anni aveva pubblicato il suo primo articolo, una cronaca della traslazione delle ceneri di Vincenzo Bellini a Catania, su L’Illustrazione Italiana di Milano). Nel 1881 fonda, insieme ad altri, la rivista letteraria settimanale Don Chisciotte, sulla quale pubblica articoli di critica. Entra in contatto e diventa amico di Luigi Capuana e di Giovanni Verga. Scrive su varie riviste. Nel 1887 appare la prima vera opera di narrativa, La Sorte, una raccolta di novelle. Nel 1889 esce il romanzo Ermanno Raeli, vagamente autobiografico. De Roberto inizia studiare la società aristocratica siciliana che diventerà il tema fondamentale delle sue opere maggiori. Pubblica due volumi di racconti e comincia ad allontanarsi, a volte anche per lunghi periodi, dalla soffocante Catania. A Milano scrive alcune delle sue opere più importanti. Nel 1891 esce il secondo romanzo, L’illusione. Lavora molto per questo romanzo, con impegno continuo ed estenuante, tanto da aggravare i disturbi nervosi di cui da qualche tempo soffre. Ma la sua collaborazione ai giornali e periodici continua, mentre, nel 1894, esce quello che è considerato il suo capolavoro, I Viceré, secondo capitolo della trilogia sulla storia della famiglia Uzeda. Il libro inizia con la morte di Teresa – protagonista de L'illusione - e si chiude con l’elezione al Parlamento, nel 1882, di Consalvo Uzeda, nipote abiatico di Teresa. È l'inizio del suo progressivo isolamento e la “conferma” che, malgrado i suoi sforzi letterari, nessuno avrebbe inserito il suo nome fra gli scrittori italiani notevoli. Nel 1897 pubblica un altro romanzo, Spasimo, una sorta di giallo psicologico che verrà in seguito rielaborato in testo teatrale con il titolo La tormenta. Al passaggio al nuovo secolo l'autore è sempre più spossato da disturbi nervosi. Soggiorna spesso a Catania. Nel 1905 si reca in Svizzera per farsi visitare da un famoso dottore che lo solleva un po’ dai suoi gravi disturbi psicosomatici. Il dott. Dubois lo definisce, con una diagnosi alquanto approssimativa, come «uno dei più rari casi di isterismo mascolino». È anche preoccupato per la situazione finanziaria della famiglia, tutt’altro che florida.
Nel 1908
ricomincia un periodo di grande vitalità e fervore lavorativo. Torna a viaggiare, soggiorna a lungo a Roma, dove frequenta gli ambienti politici. Il soggiorno romano lo reinserisce in un giro di conoscenze e di amicizie letterarie. Ma presto, con l'approssimarsi della guerra, torna definitivamente a Catania. La stanchezza letteraria diviene sempre più evidente. Pubblica, nel 1911, la Messa di Nozze. Al termine della guerra escono le Novelle di guerra, nove brevi racconti, composti tra il 1919 e il 1923. Nel 1926 muore la madre novantenne cui il figlio ha dedicato un’assistenza e una devozione assolute. Ha la netta sensazione di essere un fallito. È riuscito a superare brillantemente il boicottaggio degli ambienti più conservatori, ma non il giudizio del filosofo Benedetto Croce, che definisce I Vicerè un feuiletton, un’opera farraginosa e cerebrale, tutta di intelletto e priva di sentimento. Muore, un anno dopo la madre, il 26 luglio 1927, a poco più di 66 anni.
La sua scomparsa passa quasi inosservata nell’ambiente letterario e culturale nazionale, ma
non nella sua terra dove gli vengono dedicate manifestazioni e cerimonie. Nel 1926 viene pubblicato, postumo, L'imperio, sulla storia parlamentare di Consalvo e la sua vita a Roma, a partire dal 22 novembre 1882, giorno di inizio della XIV legislatura.

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Video di Claudio Italiano, ispirati ai luoghi di cui al romanzo verista del grande scrittore milazzese, Federico De Roberto, intitolato "L'illusione".